Intervista a Elena Ambrosetti

Membro dell'osservatorio demografico DemoMed

Docente presso l'Università di Roma La Sapienza

Dipartimento MEMOTEF

 

Migrazioni in Italia, soluzione per ridurre l'invecchiamento della popolazione?

È un tema importante già trattato in passato, le immigrazioni sono già state un freno all'invecchiamento della popolazione. Dall’inizio degli anni 2000 si è passati a più di un milione di abitanti di origine non italiana sul territorio e questo ha senz’altro aiutato a rallentare quello che è l’invecchiamento della popolazione. Questo ha fatto sì che il tasso della popolazione al di sopra dei 65 anni fosse più basso rispetto al dato che avremmo registrato nel caso in cui non ci fossero state le migrazioni. Perché? Perché si è andato ad "iniettare" nella piramide delle età una popolazione più giovane, infatti di solito si tende ad emigrare in giovane età. Questo dato ha sicuramente avuto un impatto positivo in termini di rallentamento dell’invecchiamento.


Quali sono le differenze principali tra Francia e Italia in merito ai flussi di immigrazione?

Il caso francese è abbastanza diverso rispetto a quello italiano da un punto di vista demografico, non soltanto in termini di migrazione. La Francia è stata uno dei primi paesi al mondo in cui si è verificato un invecchiamento della popolazione, avvenuto più di cento anni fa. L’idea che dovessero esserci sia immigrati, sia una maggiore natalità è sempre stata una problematica di interesse nazionale. Questa forte propensione per i francesi ad avere figli è un qualcosa di storico. Non parliamo del passato recente, ma di circa cent’anni fa quando la Francia si accorse dello spopolamento e dell’invecchiamento demografico e vide la sua popolazione diminuire. Si trattava di un contesto diverso da quello attuale, quando la popolazione era anche utile per fini bellici e di conquista. Da quel momento in poi, la Francia ha avuto questa forte propensione sia ad accogliere popolazioni straniere, sia a stimolare la natalità con politiche tuttavia diverse rispetto a quelle degli anni sessanta. Questo in Italia non è accaduto, perché ha avuto una transizione demografica più tardiva. L’Italia è un paese di più recente immigrazione, quindi i migranti sono più giovani rispetto a quelli della Francia, dove ormai è difficile rintracciare tutti i flussi sulla piramide delle età, dato che molti di loro hanno acquisito la cittadinanza da tempo. La situazione è diversa da un punto di vista della tempistica. L’Italia ha potuto beneficiare maggiormente dell’afflusso dei migranti rispetto alla Francia: mentre in Francia la fecondità è rimasta elevata durante gli anni, cioè pari a quello che chiamiamo la sostituzione della generazione (circa due figli per donna), in Italia la fecondità era già scesa negli anni novanta. Quando si dice che gli italiani fanno pochi figli non ci si riferisce soltanto al presente, ma è la conseguenza di processi passati. Negli anni novanta, per la prima volta, quello che viene chiamato saldo naturale (somma algebrica tra nati e morti all’interno di un anno) diventò negativo, perché la fecondità già allora scese sotto la soglia dell’1,5 figli per donna, quindi non è un qualcosa di recente, ma riguarda già la generazione dei millennials.  

A questo punto, in Italia, in una situazione di fecondità molto bassa, naturalmente l’afflusso di migranti ha avuto un impatto molto positivo sul tasso di crescita della popolazione. Il saldo migratorio positivo ha fatto sì che vi fosse alla fine una crescita della popolazione indipendentemente dal saldo naturale. Non dobbiamo guardare le cifre in valore assoluto ma in termini relativi, quindi tenere sempre in considerazione il valore relativo dei nati sul resto della popolazione.


Come incidono le politiche familiari sulla natalità dei due paesi?

Le nascite riguardano motivazioni razionali e irrazionali, come tutti i comportamenti umani. Le politiche costituiscono sicuramente una motivazione razionale, nel senso che non appena una persona sa di avere una sicurezza economica può decidere di fare figli o meno. Esistono però anche tante motivazioni irrazionali delle quali spesso non si tiene conto. In Francia da più di cento anni si parla di politiche nataliste. In Italia è più delicato parlare di politiche nataliste perché rimanda al periodo fascista, perché le uniche politiche che vennero effettivamente attuate furono durante la dittatura. A differenza della Francia, dagli anni sessanta in poi tutti trattarono il tema con cautela. Ci sono diverse ragioni storiche che spesso non si tengono in conto. Le politiche familiari non si possono fare oggi, se invece le avessimo effettuate negli anni sessanta forse le condizioni demografiche del paese oggi sarebbero diverse. La natalità è anche una questione di mentalità delle persone, in Francia c’è una mentalità diversa, cioè ad avere più figli e ad averli giovani, tutta una serie di cose che sono radicate ormai da una lunga tradizione. Quindi le politiche possono essere senz’altro d’aiuto ma non bastano da sole, non stiamo affrontando un processo meccanico.


La piramide delle età sta cambiando, come gestiremo le pensioni in futuro?

Le cose sono abbastanza complesse. L’Italia è stata una dei primi paesi ad attuare una riforma pensionistica, proprio perché esisteva già una necessità. Riguardo alle pensioni, abbiamo una situazione un po’ paradossale che deriva dal fatto che appunto negli anni sessanta, quando in molti altri paesi europei si optò per le politiche familiari, in Italia si fece la scelta delle pensioni. È stato uno dei primi diritti garantiti, perché già allora ci si rese conto che la popolazione stava invecchiando. Privilegiare la popolazione anziana è stata senz’altro anche un interesse politico, privilegiando inoltre alcune categorie in particolare. Fino ad oggi stiamo pagando le famose "baby pensioni", ovvero lavoratori che sono riusciti ad andare in pensione verso i 40 anni. I tempi della vita sono molto cambiati, oggi si diventa vecchi verso gli 80 anni. Naturalmente questo ha un peso sulla società, di cui dovranno farsi carico tanto i giovani come le classi lavoratrici attuali. Dato che il sistema non è più basato sull’ultima retribuzione ma sui contributi versati, oltre al fatto che andremo in pensione molto più tardi rispetto ai nostri genitori, dobbiamo capire che la pensione da sola non basterà. La pensione italiana mensile è molto alta rispetto ad altri paesi europei, in futuro ci dovremo abituare all’idea di avere la pensione più bassa ma effettuare altri tipi di accantonamento, oppure di continuare a lavorare più a lungo in un altro settore. Ci sono vari studi rispetto a quello che sarà il divenire delle generazioni più giovani con un sistema diverso: da un lato ci sarà la pensione basata sul sistema contributivo, affiancata ad altri tipi di pensione come accantonamenti privati.

Un altro dei grossi problemi è quello dell’invecchiamento in buona salute. È vero che si vive più a lungo rispetto al passato, ma una delle grandi sfide è quella di essere in grado di diventare anziani ma in condizioni tali che ci permettano dal punto di vista fisico e mentale di poter continuare a vivere, non dipendenti rispetto allo stato e alla famiglia. Oggi si parla di invecchiamento attivo, nel senso che una persona anziana è considerata come una risorsa, ma allo stesso tempo deve essere attiva non tanto lavorativamente quanto socialmente.


Spopolamento del Mezzogiorno: la situazione è davvero così allarmante?

È cambiato il modo di vivere, si vive molto di più in città rispetto al passato e questo fatto è molto evidente al Sud. Certi piccoli comuni del Sud presentano oggi dei tassi di invecchiamento stratosferici rispetto alla media nazionale. L’indice di invecchiamento italiano, ovvero il rapporto tra gli abitanti over 65 sulla popolazione totale, si aggira intorno al 22%, invece, in questi piccoli comuni si registrano a volte indici del 40%, vale a dire che oltre il 40% della popolazione di questi paesi ha più di 65 anni. L’emigrazione meridionale continua a dirigersi verso le aree urbane meridionali oppure verso il centro e il nord del paese: è un fenomeno che non si è mai veramente bloccato. Se i giovani continuano a lasciare il meridione, in una popolazione con un alto tasso di invecchiamento non ci sarà mai un ricambio generazionale. L’impatto dell'emigrazione lo avvertiamo di più a causa dell’invecchiamento. Inoltre, il Mezzogiorno risulta anche meno attrattivo rispetto ad altri paesi come il Portogallo o il sud della Spagna per i famosi pensionati che vanno a rifugiarsi in località miti, perché il costo della vita in Italia risulta più elevato.